Riassunto

Partenza 07/9/2014
Ritorno    08/10/2014
Trenta giorni di soddisfazioni.

Svegliarsi ogni giorno alle sei del mattino, vestirsi, mettersi addosso uno zaino da nove chili e partire nel silenzio del buio verso una meta che si decide per strada, buttando più o meno a caso il dito sulla mappa, sentire il dolore dei piedi ancora indolensiti dal giorno prima oppure quello pungente di una vescica che si rompe calpestando una pietra, salutare ogni giorno anticipandone l’alba, salire o scendere dislivelli anche di 1200 m attraverso sentieri, continuare ad andare avanti, sempre avanti, sotto il sole del pomeriggio o la pioggia fracassosa e incessante ad ogni costo, fare la spesa, trasportarla, cucinarsi pranzo e cena, lavarsi a mano i vestiti e lasciarli asciugare sullo zaino in marcia, prepararsi il letto, fare le ultime chiacchiere prima di abbandonarsi al sonno impaziente. Senza sabati o domeniche.
Questo, per ventinove lunghi giorni della mia vita.
Cosa spinga un essere umano a questa tortura fisica cosi continuativa è stata la domanda irrisolta del cammino. Si parte con un pretesto, il mio era abbastanza semplice rispetto ad altri: la laurea e un “perché no?”. Sono sicuro che ponendo la stessa domanda a tutti gli altri pellegrini, il loro ha occupato forse il 10% dei loro pensieri totali. Come nella vita, si ha bisogno di un buon pretesto per iniziare qualcosa di nuovo. Così è il cammino. In realtà avevamo tutti trovato la scusa per aprirvi nuove prospettive e magari lasciare, strada facendo, qualcosa di noi che non volevamo più.
Ho camminato per quasi novecento chilometri nel mese di settembre dell’anno duemilaquattordici, ma questi sono quelli facili, quelli fisici che fanno contenti il decathlon e compagnia bella; non riesco a contare la distanza che ha coperto il mio cuore: sono stato in Francia, Italia, Inghilterra, San Marino, Irlanda, Germania, Spagna, Belgio, Olanda, Svezia, Russia, Nuova Zelanda, Australia, Brasile, California, Virginia, North Carolina, New York, Messico, Colombia parlando con chiunque aveva voglia di farlo, ascoltando chiunque volesse condividere con me un pezzo della sua vita. Ho riempito il mio zaino di volti, di sorrisi, di pianti, di preghiere, di canzoni. Ho caricato sulle spalle persone nuove, sincere e vere e il peso è diminuito anziché aumentare. Anzi, più persone caricavo, meno le cinghie mi premevano la carne. Mi sono fidato ed affidato più volte a persone estranee e mai e poi mai me ne sono pentito. Sono stato aiutato, molto, e spero di aver ricambiato almeno in minima parte l’amore che centinaia di persone mi hanno dato.
Che il cammino non è una strada lo vivi, che non è “trekking”, lo senti.
Tante domande hanno riempito la mia testa, più che le risposte. Meglio così. Nel camino capisci tante cose, soprattutto che il meglio deve ancora venire, che la vita, quella vera, inizia al ritorno e che anche se nascosta dalla stessa pelle, dallo stesso viso e dagli stessi capelli, quella che torna è una persona diversa, una persona cresciuta, una persona nuova, con occhi e orecchie nuove. Tutto quello che ho fatto finora non è stato che l’inizio e che, perfino Finisterre, la fine della terra, non è stata altro che un’umile tappa di un cammino molto più importante e lungo.

Ho riempito i miei piedi di passi, ho colmato il mio cuore di vera felicità, per ventinove fottutissimi ed indimenticabili giorni.

Per chi c’è già, per chi lo vorrà, per chi non si fermerà:
Buen Camino Peregrino!

Precedente 29simo giorno. Finisterre.

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